Les Amours imaginaires
Un film di Xavier Dolan. Con Xavier Dolan, Niels Schneider, Monia Chokri, Anne Dorval, Louis Garrel Titolo originale Les amours imaginaires. Drammatico, durata 95 min. – Canada 2010
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
REGIA: Xavier Dolan
ATTORI: Xavier Dolan, Monia Chokri, Niels Schneider
SCENEGGIATURA: Xavier Dolan
FOTOGRAFIA: Stéphanie Biron Weber
MONTAGGIO: Xavier Dolan
PAESE: Canada
DURATA: 102 Min
NOTE:
Presentato al Festival di Cannes 2010 nella sezione Un Certain Regard.
recensione di Francesco Carabelli
L’amicizia tra Marie e Francis è messa in discussione dall’entrata in scena del giovane Nicolas. I due se ne contendono i favori, ma alla fine dovranno ricredersi, in quanto rifiutati entrambi. Riprenderanno il loro rapporto di amicizia, alla ricerca di nuovi amori….
Ancora una volta l’enfant prodige canadese Xavier Dolan è capace di sorprenderci con la sua opera seconda passata nel 2010 nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes. Perché ci sorprende? Perché è capace di giocare con l’estetica del film, inserendo degli stilemi che rendono molto particolare il risultato finale , con un’attenzione al dettaglio e ad una tecnica che strizza l’occhio alla Nouvelle Vague, soprattutto a Godard. La storia è quella di un triangolo amoroso, aggiornato al 21° secolo. Nicolas (Niels Schneider) è oggetto delle attenzioni amorose sia di Marie (Monia Chokri) sia di Francis (Xavier Dolan). Entrambi vorrebbero che l’amicizia che intrattengono si trasformasse in qualcosa di più e, per ottenere il loro scopo, cercano di sorprendere l’oggetto delle loro aspirazioni con regali ed attenzioni, non rendendosi conto che Nicolas vuole essere per loro solo un amico e non un amante. Dolan è abile nel costruire un intreccio appassionante anche grazie alla capacità di esaltare fotograficamente alcuni momenti chiave. In questa pellicola possiamo evidenziare alcune strategie mese in atto dal regista canadese:
1- L’utilizzo di richiami ai divi del cinema degli anni ’50 e ’60, in particolare a James Dean, modello per Francis e a Audrey Hepburn, modello per Marie
2- La sospensione della narrazione con delle cesure e degli inserti, penso in particolar modo alle dissolvenze in nero insistenti e all’inserimento di interviste quasi-documentaristiche relative alle esperienze amorose di coetanei dei protagonisti (vedi anche l’uso dello zoom in queste interviste)
3- L’uso di sequenze illuminate con luci preponderanti (rosso, verde, blu) a contrassegnare i momenti in cui Marie e Francis cercano conforto nelle braccia di sconosciuti dopo le delusioni amorose
4- L’uso del linguaggio filmico, lasciando parlare molto spesso le immagini per significare i pensieri e i desideri dei protagonisti
Sicuramente queste soluzioni potrebbero essere viste come un eccessivo estetismo, ma il regista è capace di mescolare il tutto con sapienza, senza mai eccederne. Possiamo segnalare anche l’uso ricercato delle musiche della colonna sonora che permettono delle licenze poetiche, in primis quando sulle musiche di Bang bang di Dalida, Dolan sembra utilizzare una fotografia da film western. Certo una gioia per coloro che intendono il cinema come arte, come mezzo per esprimere pensieri ed emozioni per mezzo di immagini e siano curiosi di sovvertire i normali canoni cinematografici, che riducono molto spesso tutto ad effetti speciali o semplicemente a del buon teatro filmato.
TRAMA
La storia di Francis e Marie, due amici innamorati della stessa persona, che si daranno battaglia per conquistarne il cuore arrivando, di volta in volta, a interpretare in maniera ossessiva i comportamenti ambigui e distruttivi dell’oggetto dei loro desideri.
CRITICA
“Gli elementi ci sono tutti: glamour, musica, citazioni ‘tarantiniane’ nel bel mondo di due trentenni (…). Il crescendo ossessivo per questo ‘oggetto del desiderio’ – all’inizio liquidato con evidenza ipocrita con un ‘non è il mio tipo’ – è modulato con stacchi dove un gruppo di ragazzi parla dei propri disastri amorosi: lui che lascia lei perché la convivenza aveva già ucciso il loro rapporto, lei che tampina lui etc etc.. E naturalmente il codice Kinsey per dirci che la sessualità non ha genere. Rovesciando il punto di vista e allineandolo con quello della stampa francese potremmo dire che il film di Dolan tenta comunque di inventare qualcosa. E per il suo codice così lezioso rimane fine a se stesso, infilato negli stereotipi dei cinema gay e della cartolina vintage dell’ossessione amorosa. Francamente non basta.” (Cristina Piccino, ‘Il Manifesto’, 15 maggio 2010)