Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica
di Damiano Damiani
Con Claudio Gora, Marilù Tolo, Martin Balsam, Franco Nero. Soggetto Fulvio Gicca Palli e Damiani. Sceneggiatura Damiani e Salvatore Laurani. Montaggio Antonio Siciliano. Musica Riz Ortolani.
Poliziesco, 106 min. – Italia 1971.
Il magistrato Traini non condivide i metodi del commissario Bonavia: questi sostiene che contro la mafia la legge non basta e bisogna affrontarla al di fuori della legalità.
Nei film di questo periodo, Damiani dava alla sequenze un grande ritmo interno. La gente sembrava parlasse tutta a doppia velocità; oggi invece parlano tutti al ralenti, prima prendono posizione… Per Confessione, il mio ritmo l’ho preso su Martin Balsam: essendo americano, aveva dei tempi eccezionali, io li ho presi e li ho riportati su Franco Neri e sugli altri.
Sapevo che Daminani non voleva uno sfronzolo in più, nemmeno cinque fotogrammi in coda. Quando la gente camminava, c’era subito l’attacco della battuta. Mi diceva sempre: “Leva, taglia”. Ho impostato il montaggio in modo talmente preciso che alla fine in due giorni abbiamo revisionato il film. Intendiamoci: il film è bello e montato bene perché è girato intenzionalmente bene. I tempi li dava Damiani, non io. Damiani, su certe scenegiatture, disegnava già l’impostazione della scena, con i punti dove voleva mettere la macchina da presa […]. Le recensioni facevano molti complimenti al montaggio, e Damiani mi disse: “Ma ti sei comprato tutti i giornalisti?”
Antonio Siciliano in Alberto Pezzotta, Regia Damiano Damiani
Un giallo sociale di buon mestiere lubrificato a dovere negli snodi drammatici e spettacolari e con in più un coraggioso appello a lottare per un miglior futuro della Sicilia è Confessione di un commissario di polizia ad un procuratore della Repubblica di Damiano Damiani, in cui vari ricordi dell’Indagine su un cittadino di Petri e di Mani sulla città di Francesco Rosi si innestano sul tronco del cinema dedicato alla mafia che grazie a Il giorno della civetta e La moglie più bella, ha ormai in Damiani uno dei suoi alfieri più volenterosi […]. Da gran tempo il cinema ci ha abituati a questi gialli sostanzialmente cosmopoliti, dove i dati caratteristici del costume locale e della psicologia sono assorbiti nel meccanismo dell’intreccio e dei colpi di scena […].
Giovanni Grazzini (Corriere della sera del 1 aprile 1971)