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Francofonia (di A. Sokurov)
22 Giugno 2016

Francofonia – Il Louvre sotto occupazione
di Aleksandr Sokurov
Con Louis-Do de Lencquesaing, Benjamin Utzerath, Vincent Nemeth, Johanna Korthals Altes.
Drammatico, 87 min. – Francia / Germania / Paesi Bassi 2015.
Storia e finzione s’intrecciano per interrogarsi sul valore dell’arte e sulle responsabilità nei confronti della sua sopravvivenza. Sokurov svela l’incontro del 1943 durante il quale il conte F. Wolff-Metternich, capo dell’amministrazione nazista, e il direttore del Louvre J. Jaujard, decisero le sorti dell’arte. Mentre i due discutono, nelle sale del museo appaiono Marianne, simbolo della Francia e Napoleone che ammira perplesso le opere che lo celebrano.
Film saggio, a metà tra la riflessione storica e la privatezza diaristica, dove la cinepresa diventa un’autentica caméra-stylo che mescola formati e percorsi con straordinaria (e affascinante) libertà, questo Francofonia – che nelle intenzioni dichiarate doveva essere un film dedicato al museo parigino del Louvre, un po’ come ‘Arca russa’ lo era stato sull’Ermitage di San Pietroburgo – nasconde dentro di sé suggestioni che si svelano allo spettatore a ogni visione. A Venezia […] mi aveva colpito l’intreccio di stili, di tempi e di toni, quasi una specie di prolungamento più articolato e concreto delle «elegie» girate a cavallo degli anni Novanta sul dissolvimento di un mondo e dei suoi valori: il Louvre e più in generale l’arte come baluardo della cultura in nome del quale la coerenza personale poteva mettere in discussione anche la fedeltà politica. Rivisto dopo sei mesi (e dopo l’incrudelirsi degli attacchi dell’Isis ai simboli dell’Occidente), Francofonia rivela una più radicale lettura dell’arte custodita al Louvre e nei musei europei e la difesa di un’idea dichiaratamente occidentale dei valori culturali. […] un viaggio pieno di fascino ed emozione, tra metafore marinare e ricordi della Storia, dove i musei («cosa sarebbe la Francia senza Louvre?» ci chiede il film) diventano il cuore di una civiltà orgogliosamente occidentale. Forse troppo.
Paolo Mereghetti (Corriere della Sera)