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Frank Costello Faccia d’Angelo (di J. Melville) – INGRESSO GRATUITO
3 Luglio 2017

Frank Costello faccia d’angelo (Le samouraï)
di Jean-Pierre Melville
Con Alain Delon, Nathalie Delon, François Périer, Cathy Rosier, Jacques Leroy, Michel Boisrond.
Noir, 95’, Francia 1967.
Frank Costello detto il “samurai” è un killer professionista che deve eliminare il proprietario di un night. Riconosciuto dalla pianista del locale, che però non lo denuncia, rischia di essere ucciso dai suoi stessi mandanti che si comportano ambiguamente. Intanto la polizia è sulle sue tracce…
È forse il miglior film di Jean-Pierre Melville, molto stimato in Francia come precursore della Nouvelle Vague, ispirato evocatore di personaggi e vicende dal cinema americano degli anni trenta e quaranta. Il suo eroe è l’homme tranqué, il gangster in fuga; cioè l’individuo isolato in un mondo ostile e incomprensibile che finisce puntualmente per sopraffarlo. Frank Costello (Jeff nell’edizione originale) si può considerare un samurai della malavita parigina perché è al di sopra dei suoi colleghi, inaccessibile e misterioso, impegnato nella ripetizione di gesti che hanno un carattere pressoché ritualistico; finché, all’ultimo anello di una catena insensata, gli resta da compiere solo il gesto estremo del suicidio: la sequenza finale dove il killer mette i guanti bianchi per fingere di compiere un ultimo delitto a rivoltella scarica, è un vero e proprio harakiri. In una splendida veste fotografica di Henri Decae, che tratta il colore come fosse bianco e nero, il film è anche una sommessa elegia di Parigi fra la periferia e i tunnel del métro: non c’è un segno che non sia calibrato né un’immagine fuori posto. Affascinato dai romanzi della Serie nera, Melville non ignora evidentemente né Bresson né Albert Camus: tanto che, come parafrasi di Lo straniero, Frank Costello faccia d’angelo è più attendibile della versione ufficiale di Visconti. Non fosse che per la presenza ambigua e disarmante di Alain Delon, avaro di parole, quanto deciso all’azione: nella sua camera squallida, animata solo dalla presenza di un uccellino in gabbia, c’è persino il ricordo degli interni desolati di Beckett.
Tullio Kezich – Panorama, 1968