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Alaska (di C. Cupellini)
3 Agosto 2016
Alaska
di Claudio Cupellini
Con Elio Germano, Astrid Berges-Frisbey, Valerio Binasco, Elena Radonicich, Antoine Oppenheim.
Drammatico, 125 min. – Francia 2015.
Fausto e Nadine si incontrano per la prima volta nei saloni di un grande albergo di Parigi, scoprendosi fragili, soli e ossessionati da un’idea di felicità che sembra irraggiungibile. Si perderanno, si ameranno e soffriranno.
Al terzo lungometraggio, Claudio Cupellini trova una misura congeniale e realizza il proprio miglior film, Alaska. Elio Germano, cameriere emigrato in Francia, per farsi bello con una ragazza, che si trova nello stesso albergo a fare un provino, si mette nei casini e finisce in galera. Da lì, continua a scriverle per anni senza risposta, ma quando esce la trova ad aspettarlo. È l’inizio di una storia d’amore appassionata e violenta, altalenante, in cui il bene dell’uno sembra tragicamente implicare la sventura dell’altro: quando lei è una modella in ascesa lui è uno spiantato, poi lei ha un incidente e lui fa fortuna… Nella tenuta dell’insieme e in certe scene si sente l’ispirazione e il tocco del regista vero: c’è una scena di suicidio emozionante, magistrale, e certi scontri fisici tra i due amanti, certe tensioni, sono resi senza esibizionismo e senza freddezza. Elio Germano è bravissimo. Ha un’energia fisica contagiosa che ci fa credere subito al personaggio, e Astrid Bergès-Frisbey, sarà per molti una scoperta. […] Certo, il film ha anche alcuni difetti vistosi. È allagato da una musica ordinaria, fa fatica a reggere le oltre due ore di durata; e nel finale rischia di perdersi. Ma ha un’idea forte, quasi un impulso, che lo sostiene: partire dal rispetto delle regole di un genere, in questo caso il mélo, non come pretesto intellettuale o come schema narrativo che garantisca la quadratura della narrazione. Cupellini prende sul serio equivoci e colpi di scena, e crede che possano raccontare personaggi di oggi. Personaggi che lui ama e segue, e che finiscono col restituire un momento e una società senza sociologismi. In queste vite tese al riscatto e all’autodistruzione, Alaska coglie un disagio cieco, un conato feroce verso il cambiamento, qualcosa di profondamente contemporaneo.
Emiliano Morreale (L’Espresso)