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Il Ponte delle Spie (di S. Spielberg)
19 Agosto 2016
Il ponte delle spie
di Steven Spielberg
Con Tom Hanks, M. Rylance, A. Ryan, S. Koch, A. Alda, B. Magnussen, E. Hewson, A. Stowell, D. Lombardozzi, M. Gaston, S. Kunken, P. McRobbie, M. Caka, J. Harto, B. Klaußner.
Thriller, 140 min – USA 2015. Miglior attore non protagonista Oscar 2016.
NY, 1957. Rudolf Abel viene arrestato con l’accusa di essere una spia sovietica. La democrazia impone che venga processato, la scelta dell’avvocato cade su James Donovan che fino a quel momento si è occupato di assicurazioni. Nel frattempo un aereo spia americano viene abbattuto dai sovietici e il tenente Powers viene fatto prigioniero. Si profila la possibilità di uno scambio e Donovan dovrà gestire il negoziato.
L’intro hitchcockiano cede man mano il passo a uno svolgimento sempre più letterario, dove il racconto è già leggenda e ancora incertissimo presente; e dove il Donovan di Tom Hanks sembra rispondere al paradigma dell’everyman, cappotto cappello ombrello, se non fosse che, nel cinema di Spielberg più che mai, l’apparenza in qualche modo inganna. Donovan è infatti qualcuno che incarna il mestiere che fa, lo onora come una “professione”. Non si occupa di giustizia, è un giusto. Se a lui appare incredibile che il suo assistito non si preoccupi visibilmente del suo destino, all’altro appare inizialmente inverosimile che l’avvocato non voglia sapere la verità sulla sua colpevolezza o innocenza. “Servirebbe?” No. Per lui, che ha già fatto il proprio dovere in Normandia (salvando il soldato Ryan), ogni uomo è importante, ogni vita. Donovan non vede Abel innanzitutto come una spia, un russo, un nemico: sceglie di guardarlo come una persona. Man mano che lo conosce, gli darà un colore e una profondità, forsanche quella dell’amicizia o dell’ammirazione, ma la scelta riguardo allo sguardo da adottare l’ha fatta in partenza. Come il regista. Lo dice bene la prima inquadratura, nella quale Abel sta dipingendo il suo autoritratto, con l’ausilio di uno specchio. L’immagine nello specchio e quella sulla tela sono immagini della stessa persona, ma non sono identiche. La prima riflette una superficiale obiettività, la seconda reca traccia del tempo e dei pensieri intercorsi nelle ore del fare. Non conta quello che di te penseranno gli altri, dirà Donovan al soldato Powers, ma “quello che sai tu”. (…)
In un’epoca come la nostra, di sospetti quotidiani, intercettazioni isteriche, identificazioni affrettate di un uomo col suo credo, il suo abito o la sua provenienza, Il ponte delle spie è un film di bruciante attualità, profondamente consapevole della dignità della professione artistica e della sua funzione sociale.
Marianna Cappi (www.MyMovies.it)