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La Foresta dei Sogni (di G. Van Sant)
3 Settembre 2016
La foresta dei sogni
di Gus Van Sant.
Con M McConaughey, N. Watts, J. Gavaris, K. Watanabe, K. Aselton., James Saito, Ami Haruna, O. Burke, S. Garibotto, J. Corazzini, J. Oliveira, S. Dibinga, A. Friedman, J.T. Turner, R. Levine, M. Steven Swanson, J. Stanton.
Drammatico, 110 min. – USA 2015.
L’americano Arthur Brennan raggiunge Aokigahara, un bosco folto e misterioso situato alla base del Monte Fuji, dove la gente si reca per contemplare la vita e la morte. Arthur è convinto che questo sia il posto perfetto per morire, ma dopo l’incontro con Takumi Nakamura, un altro uomo perso come lui, inizierà un percorso di riflessione e sopravvivenza che lo porterà a riaffermare la propria voglia di vivere e riscoprire l’amore per la moglie Joan.
Piacerà agli ammiratori di Van Sant che ritroveranno vari temi preferiti dal Gus. Come la corsa verso la morte (Last Days). E la sottile linea divisoria fra amore omo e etero. E per chi è ammiratore a corrente alternata? Il bosco dei suicidi ha un fosco fascino. E Watanabe compensa gli istrionismi di Matthew.
Giorgio Carbone (Libero del 28 aprile 2016)
Un film, questo di Van Sant insieme con Sparling, molto complesso se non addirittura complicato con risvolti ora esistenziali ora filosofici e forse anche vagamente spirituali. […] Un percorso nel cuore stesso dei personaggi, con precisi ricordi del passato di Arthur con Joan, sempre però in termini asciutti cui Van Sant ha inteso indirizzare la sua regia, attenta a non cedere mai né al sentimentalismo né alla retorica. L’asseconda il protagonista, Matthew McConaughey […].
Gian Luigi Rondi (Il Tempo del 26 aprile 2016)
D’accordo, non è certo l’opera migliore di Gus Van Sant […]. Nel film ci sono due anime che stridono, un eccesso di retorica e qualche colpo basso di troppo. […] il film racconta il bisogno disperato di trascendenza e la necessità di credere in un angelo, o uno spirito guida che ci aiuti a trovare il senso perduto dell’esistenza.
Alessandra De Luca (Avvenire del 17 maggio 2015)
Narrato come un survival, il film conferma il bipolarismo di Van Sant: a volte essenziale fino alla severità (Elephant, Palma d’Oro 2003), altre volte (Scoprendo Forrester) incline a scivolare nel sentimentalismo fin quasi alla sdolcinatura.
Roberto Nepoti (La Repubblica del 17 maggio 2015)