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Omicidio a Luci Rosse (di B. de Palma) – INGRESSO GRATUITO
26 Giugno 2017

Omicidio a luci rosse
di Brian De Palma
Sceneggiatura di B. De Palma e Robert J. Avrech, fotografia di Stephen H. Burum, montaggio di Jerry Greenberg e Bill Pankow, scenografia di Ida Random e musica di Pino Donaggio.
Con Craig Wasson, Gregg Henry, Melanie Griffith e Deborah Shelton.
USA, 1984, 109’
Jake è un attore di b-movie affetto da claustrofobia. Dopo aver perso il lavoro incontra Sam che gli offre un alloggio. Una notte, nell’appartamento, assiste all’omicidio di una bellissima donna. Tentando di salvarla si ritrova in cima alla lista dei sospetti.
L’atmosfera creata da De Palma non ha nulla di placido e solare, ma diventa subito oscura e tenebrosa, i carrelli che inseguono i personaggi/amanti si fanno sempre più sinuosi, si arriva ad un livello di erotismo materialistico dell’immagine da far tremare i polsi.
De Palma sapeva come attrarre l’occhio verso la turbine dell’inganno, sapeva giocare con le stimmate del proprio visivo, si attaccava agli sguardi come un segugio in preda ad allucinazioni vertoviane.
E’ un autore che dimostrava di aver studiato dai grandi, di aver appreso l’arte della mistica di un cinema invalicabile, dopo il quale nulla sarebbe stato più lo stesso, il noir avrebbe preso la direzione tracciata da De Palma, molti tentarono di emularlo, solo Tarantino ne ha capito il vero senso e ha iniziato, dagli anni ’90 in poi, un meccanismo di gioco perverso con gli scarti del cinema passato, vincendo a volte clamorosamente.
Chi non ha mai visto un De Palma e vede oggi un Aronofsky o un Danny Boyle e si emoziona, ha perso un tassello della Storia.
Dovrebbe tornare indietro e fare mea culpa, vedere e rivedere Omicidio a luci rosse con M. Griffith, puttana da quattro soldi, trattata come una divinità ancestrale. De Palma aveva già capito che il cinema è nei colori, negli sguardi attoniti della mdp, nella colonna sonora che non lascia mai, che sospende il film e lo porta in un’altra dimensione.
Michele Centini – cinerunner.com
“Certo, può essere di grande effetto drammatico l’happy ending, soprattutto se fa piangere il pubblico, se lo emoziona, se lo porta ad applaudire alla parola fine, ma credo che bisogna ricercare in maniera diversa , nuove e insolite vie per suscitare lo stupore del pubblico, senza farlo crogiolare nelle convenzioni. È importante infatti, almeno nei miei film, che il pubblico sappia di andare incontro sempre a esperienze nuove, sbalorditive, emozionanti, che si stupisca di essere arrivato alla parola fine”.