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Steve Jobs (di D. Boyle)
5 Settembre 2016

Steve Jobs
di Danny Boyle
Con Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Jeff Daniels, Michael Stuhlbarg, Katherine Warerson, Sarah Snook, Adam Shapiro, Perla Haney-Jardine, Ripley Sobo, Makenzie Moss.
Biografico, 122 min. – USA 2015.
È il 1984 e manca pochissimo al lancio del primo Macintosh. Poi sarà la volta del NeXT nel 1988 e del iMac nel 1998. Scortato dal suo braccio destro, la fedelissima Joanna Hoffman, nel backstage che muta col mutare dei decenni e dei costumi, Steve Jobs affronta gli imprevisti dell’ultimo minuto, immancabili contrattempi che si presentano sotto forma di esseri umani: sua figlia Lisa e sua madre, il partner storico Steve Wozniak e il nuovo CEO di Apple John Sculley.
Quando si parla di biopic contemporanei, e in particolare legati all’universo tecnologico, che rinnova i propri scenari – i propri luoghi, il proprio linguaggio – a un ritmo forsennato, il tempismo diventa un fattore decisivo.
Steve Jobs è un film gemello di The Social Network, nel senso che rifiuta di netto – questo ancora più di quello – il percorso della biografia convenzionale, sostituendo la cronologia di una vita con alcune fotografie, e l’indagine giornalistica con la drammaturgia.
Detto in altri termini, il lavoro degli autori gira attorno all’icona – Jobs o Zuckerberg – molto più che all’uomo.
Arriva però, il film di Danny Boyle, un po’ in ritardo rispetto alla storia che racconta, dove invece The Social Network metteva in scena un mondo mentre quel mondo cominciava a mostrarsi a tutti, e quindi contribuiva alla sua percezione.
Per tutte queste ragioni – compresa l’esistenza di un biopic più tradizionale sul personaggio uscita qualche anno fa con protagonista Ashton Kutcher, e numerosi documentari (ce n’è anche uno di Alex Gibney appena uscito in home video), senza contare i libri – c’era qui la necessità, produttiva e artistica, di creare un’opera che mettesse un punto; che fosse tutto quanto era già stato fatto, e al contempo qualcosa di diverso.
Aaron Sorkin, geniale sceneggiatore di capolavori come Moneyball e il citato The Social Network, o in televisione di The Newsroom, sceglie allora di raccontare Jobs attraverso tre momenti chiave (la presentazione del primo Mac, quella del primo computer Next, e quella dell’iMac) del suo percorso professionale, isolandolo in tempi e luoghi precisi, e mettendosi quindi nella condizione di dover rappresentare anche la sua vita privata e i suoi conflitti personali (il rapporto burrascoso con la madre della sua unica figlia), dentro quei tempi e quei luoghi. È chiaro che quello che ne esce è una forzatura, un esercizio di stile che richiede un dispositivo di scrittura formidabile e che se ne frega della ricostruzione. […]
Giorgio Viaro (www.bestmovie.it)